Il business digitale è in crisi? Cosa ci dicono davvero i trend di oggi?

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Ranking Road Italia: una agenzia Google al passo con i tempi

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Da febbraio di quest’anno sono in molti a porsi dubbi sul futuro del digital marketing a 360 gradi. Ovvero da quando ci siamo svegliati una mattina con Meta che perde il 25% in una notte bruciando circa 230 miliardi di dollari. Il motivo? Sempre meno utenti e interazioni: i più giovani preferiscono altre piattaforme e i meno giovani preferiscono fare dell’altro. 

Non si tratta però solo di Facebook, tutt’altro. Ogni grande piattaforma è in qualche modo in crisi, ognuna per le sue ragioni.

Amazon in crisi?

Amazon ha cercato di imporsi come “l’ecommerce” con un maxi progetto per arruolare i venditori e le agenzie del territorio. Nell’ecosistema ideale per Amazon o sei Vendor o sei Seller, in caso contrario non puoi vendere sul web. Ma la realtà si è rivelata col tempo molto diversa e del progetto ora non c’è traccia. 

Non hanno saputo rendersi sostenibili agli occhi di produttori e venditori che hanno finito per disertare la piattaforma dopo aver venduto in perdita nel migliore dei casi. Le questioni sull’eticità della stessa Amazon hanno poi fatto il resto. Certo, le abitudini sono dure a morire e i consumatori puri non hanno abbandonato la nave, semplicemente ora però i prodotti sono gradualmente sostituiti da merce di bassa qualità venduta con eccessivi ricarichi sotto l’egida di brand proprietari Amazon costruiti ad hoc.

La barca tiene, aspettando però gli sforzi regolamentatori delle istituzioni sovranazionali per evitare il collasso delle economie nazionali.

 

Stravolto anche il settore dell’elettronica

I produttori di elettronica di consumo stanno invece affrontando problemi più specifici: sono stati talmente efficaci nel costruire ecosistemi di consumo altamente redditivi per anni che ora, vuoi per la scarsità di materie prime, vuoi per la mancanza di innovazione, un calo di interesse nel pubblico (che ha visto diminuire il proprio potere di acquisto) diventa immediatamente un collo di bottiglia. 

Apple si è rivalsa su Google boicottando la piattaforma Analytics e di fatto rendendo più difficile a tutti operare campagne di remarketing, ma questo è servito solo a consolidare una posizione relativa nel mercato, non a mettersi al passo con le sfide future o a rendersi meno dipendente da consumi eccessivi e non sostenibili. 

Questa tendenza a massimizzare il consumo è fra i principali di un fenomeno che possiamo descrivere come “il ritorno del reale” e che, dalla pandemia, si sta facendo sempre più forte.

Crisi digitale? No, l’inizio di una nuova (e migliore) era

Calano anche le piattaforme di streaming come Netflix che sembravano inarrestabili (e aumentano le vendite di biciclette). Gli utenti sui social sono sempre più erratici e meno attivi (ma associazioni e movimenti sono sempre più forti). 

Tutto questo in un’epoca in cui si stanno rinegoziando i poteri di big tech: se il Privacy Shield non dovesse essere riconfermato non potranno più studiarci a fondo per spremerci fino all’ultimo centesimo.
Si prospetta uno scenario terrificante per chi opera e lavora nel digitale? Tutt’altro.
Gli ultimi studi ci dicono non solo che stiamo vivendo un “ritorno del reale”, ma anche che i consumi stanno reindirizzandosi verso valori nuovi. Il più preponderante è proprio la “autenticità” del brand e del prodotto. I brand oggi devono essere “puliti”: sostenibili, etici e immacolati. 

Troppi scandali, infatti, hanno minato l’autorità delle grandi aziende e dei grandi brand e la generazione che oggi determina trend e consumi è cresciuta in un periodo di recessione, conosce bene il costo reale delle cose.
Stiamo parlando di nativi digitali che sono costantemente bersaglio di bubble marketing, seeding e astroturfing, è normale che non si fidino. 

Cosa comporta questo per tutti noi? Opportunità. Non vogliamo parlare di quel genere di opportunità da casinò o da speculazione azzardata, bensì quella dove si è potuto toccare con mano cosa funziona e cosa non funziona. Già lo sapevamo in realtà, ma ora è davanti agli occhi di tutti: 

sono le PMI e quei soggetti sostenibili e non vincolati al consumo sfrenato che hanno le migliori possibilità di crescere e prosperare.

Esattamente ciò che costituisce il cuore del tessuto lavorativo e aziendale nel nostro Paese e i cui pilastri sono due: territorio e relazioni.

È il momento di abbracciare il cambiamento

Ogni attività con una presenza reale sul territorio, sia in termini fiscali che organizzativi, e che sia in grado di trasmettere un’immagine positiva di sé senza mistificazioni, ha già oggi una marcia in più rispetto ai giganti del web e domani probabilmente questo sarà ancora più marcato. Ovvio che i giganti partivano da una posizione dominante ma questo è il momento della svolta. 

Non si tratta però di cambiare semplicemente il pelo e imbastire un esercito di PR per fingersi “autentici”: gli strumenti di digital marketing per lavorare bene in questo senso ci sono, così come le competenze. Qualcuno ha già anticipato questa tendenza e oggi ci ritroviamo con tutti gli strumenti utili per poter fare già molto bene.
Google, che scherzando ma non troppo si può dire sappia veramente tutto, ha infatti iniziato a spingere sul fenomeno “local” già da qualche anno e oggi ci ritroviamo con un arsenale consolidato di strumenti per operare in tal senso. 

Tutto il mondo Google Business Profile e Google Maps si è di fatto insediato nella SERP in pianta stabile, addirittura piegando l’algoritmo stesso che ora ci mostra risultati locali anche se non cerchiamo localmente.

Si può fare pubblicità, raccogliere dati e generare traffico in store attraverso canali digitali con ottimi risultati. 

  • La tendenza local si vive anche sui social media dove la pubblicità è sempre meno efficace (gli utenti più giovani la “filtrano” senza vederla);
  • Il fenomeno “influencer” sembra aver esaurito la sua spinta;
  • Gli utenti cercano punti di riferimento che conoscono davvero, comunità o cause in cui si riconoscono, senza controversie;
  • Il passaparola è tornato a essere un fattore chiave nel marketing, ma ha cambiato forma: ti fidi dei tuoi amici, non di un attore in tv;
  • Nascono le strategie di “gamification” per coinvolgere nuovi utenti, una sorta di “porta un amico” 2.0;
  • Più in generale, cambia il modo di comunicare un brand o un prodotto.

Non finisce qui

La Business Intelligence è a portata di tutti grazie alla suite di Google e agli sforzi di Microsoft che ci consegnano potentissime piattaforme di analisi dati gratis (Google Data Studio) o a prezzi accessibilissimi (Microsoft PowerBI).
Tutto quanto abbiamo descritto sopra non è quindi una sorta di decrescita felice del web, ma l’emergere di nuovi pattern e trend che segneranno una nuova epoca del digitale, tutti analizzabili, comprensibili e, di conseguenza, SCALABILI.
Il vero cambiamento è nella natura di quello che è il web: il metaverso non è il futuro, un’economia che prospera sul territorio e in grado di utilizzare i canali digitali sì. 

Sono forse finiti i tempi in cui i grandi diventano sempre più grandi e i piccoli diventano sempre più piccoli? Diciamo che grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione oggi e alle nuove tendenze, soprattutto nel dopo pandemia, è giunto il momento di nuove soluzioni.
Dopo anni in cui sembrava che tutto cambiasse sempre senza cambiare mai, come i 3620 aggiornamenti all’algoritmo di Google Search nel 2019. Ora è davvero tempo di cambiare.

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